Di Alessandro Artini - presidente ANP Toscana
Banchi, carenza di spazi, pagamenti ai prof degli interventi di recupero e altro ancora: la crisi della scuola si sta ripiegando su se stessa
La mancanza di locali scolastici adeguati, sia sul piano della sicurezza in generale (per esempio antisismica o antincendi) sia su quello specifico di carattere
sanitario, non è nuova e i presidi la denunciano ormai da anni. Ovviamente il problema non era risolvibile in pochi mesi. Per analogia, neppure
la questione degli organici e del precariato poteva essere affrontata in tempi brevi, poiché nella scuola si acquisisce il ruolo, da decenni, perlopiù tramite sanatorie, che sono funzionali alla riproduzione del precariato stesso (come i condoni fiscali rispetto all’evasione).
Sarebbero occorse, quindi, da parte ministeriale, delle parole di verità, accompagnate dall’ammissione dello stato di impotenza in cui il ministero stesso
versa. Ad esse sarebbe dovuto seguire l’invito, alle scuole e ai presidi, ad attivarsi autonomamente, magari prevedendo, da parte ministeriale, un intervento
normativo per attenuare le enormi responsabilità cui questi ultimi vanno incontro.
Erano possibili queste parole di verità? Certamente non impossibili, anche se difficili e gravose. Le decine di migliaia di morti per Covid 19 le avrebbero rese autentiche, perché l’immensa tragedia che abbiamo vissuto imponeva la sincerità. Di fronte ai camion dell’esercito a Bergamo, carichi di corpi insalutati, grevi di un dolore afono e privo del congedo familiare, il coraggio della politica avrebbe rappresentato una scelta congrua. Doverosa e dignitosa. Per
chi il coraggio lo avesse avuto.
Invece, si è parlato della portata didattica innovativa delle sedie con le rotelle...
Invece si è accorciato il metro di distanza, dapprima misurato tra le estremità dei banchi, poi tra spalla e spalla e infine tra le “rime buccali”, per usare la ridicola espressione degli esperti. Un metro che pare restringersi per rendere possibile la frequenza di alunni che, altrimenti, in numero
soverchio, non potrebbero entrare in classe.
Oltre a un tale coraggio sarebbe occorsa la preliminare cognizione
della storia scolastica di questi ultimi decenni, con il messaggio di trascuratezza politica che essa arreca e che poteva essere denunciato. La scuola, spesso oggetto di retoriche edulcoranti, è stata in realtà la “priorità subordinata” della politica. Invece di strepitare per la
mancata collaborazione dei sindacati, sarebbe stato opportuno avere contezza del ruolo che essi hanno svolto nel governo della scuola, modificando, in sede di contrattazione, anche le norme
emanate dal Parlamento. Si consideri il caso della cosiddetta “Buona Scuola”, smontata a pezzi (“bonus”, “chiamata diretta”, ecc.) per volontà sindacale
e per compiacente assenso ministeriale.
Ma la questione è che non stiamo solamente assistendo alla mala figura di un ministro e alle sue impacciate e contraddittorie dichiarazioni. Purtroppo siamo di fronte al declino dell’alta burocrazia, che fino ad oggi aveva rappresentato un’ancora di salvezza rispetto alla inadeguatezza politica. Ne è testimonianza la vicenda incerta della pubblicazione degli esiti degli esami di Stato. Un disguido nato da un pasticcio di ordinanze e note ministeriali contraddittorie, alcune a favore e altre contrarie alla pubblicazione.
Oggi i presidi si chiedono se gli interventi di recupero dei debiti scolastici, che saranno organizzati per gli alunni dal primo settembre, dovranno essere pagati ai docenti oppure no. Nell’ordinanza i futuri corsi sono definiti come attività ordinaria e, in quanto tale, esente da pagamenti aggiuntivi. Ciò, tuttavia, contraddice la prassi usuale che ha previsto, negli anni, il pagamento degli insegnanti. Un altro pasticcio della burocrazia, che i presidi dovranno
sbrogliare tra le polemiche dei docenti stessi, alcuni dei quali potrebbero avere un compenso a fronte di altri che non lo riceverebbero.
Questo è lo stato dell’arte, mentre in Italia aumenta il numero dei contagiati.
(da www.ilssussidiario.net – 25 luglio 2020)