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La preparazione del rientro a scuola e l’autonomia scolastica

 

Di Alessandro Artini (Presidente ANP Toscana)

 

La preparazione del rientro a scuola, previsto per il 7 gennaio, procede, seppur lentamente. Si constatano alcuni cambiamenti. Per esempio, gli Uffici scolastici provinciali toscani chiedono alle scuole di fornire loro i dati circa il pendolarismo, per tracciare i flussi; inoltre dovrebbe aumentare il numero dei pullman. Pare che vi sia, finalmente, una maggiore attenzione circa la problematica che connette il mondo dei trasporti con quello della scuola. Si sono attivati pure i prefetti. Ma perché non ci si è mossi in estate? Al netto della campagna elettorale, che ha impegnato quasi tutte le energie della politica, per spiegare una così colpevole inazione vien da pensare che vi siano stati altri problemi. Si tratta forse della governance della scuola, inadatta a favorire l’efficacia dell’azione organizzativa?

 

Sembra che, mutatis mutandis, nel mondo della scuola, si riproducano le stesse dinamiche che, a  causa delle controversie tra Regioni e Stato, impaludano l’azione politica e amministrativa con i continui ricorsi alla Corte Costituzionale (più di 1.800 dal 2001). Come sarebbe inadeguato il design del Titolo Quinto della Costituzione, così parrebbe “fuori squadra” la cornice che regola il rapporto tra autonomie scolastiche e istituzioni amministrative della scuola, a cominciare dal Ministero.

Quindi, sul banco degli imputati viene posta l’autonomia scolastica. Non a caso, essa è stata evocata in senso critico dal Presidente della Toscana Eugenio Giani, perché il confronto con la pluralità delle scuole autonome appare disfunzionale, rispetto alla necessità di efficacia organizzativa. Analogamente Galli della Loggia, in un editoriale del Corriere, denuncia le “insulse autonomie” che, anche nel contesto dell’Istruzione, hanno privato di incisività il potere centrale dello Stato, provocando, fra l’altro, “la progressiva evanescenza della macchina amministrativa”.

 

Dovremmo forse abolire l’autonomia scolastica?

Parliamone. A distanza di venti anni dalla nascita, dobbiamo riconoscere (ricordando uno dei maggiori studiosi di organizzazione scolastica, il compianto Piero Romei) che l’autonomia non ha sortito gli effetti auspicati e non ha prodotto le associazioni di scuole autonome, come pur si è tentato di fare qualche anno fa. Il Ministero ha tenuto ben strette alcune sue prerogative e il modello decentralizzante dell’autonomia si è dovuto arrendere di fronte alle circolari e al restringimento dell’azione, in gran parte concordato con le forze sindacali, timorose che i presidi delle scuole autonome prendessero troppo campo. Il paradigma étatiste, direbbe Cassese, ha tenuto duro. Forse potremmo aggiungere, con maggiore precisione, che le strutture ministeriali sono state così deboli da non potersi opporre alla nascita dell’autonomia, ma così forti da non consentirne lo sviluppo, riproponendo un impasse italiano di qualche secolo fa.

In uno dei quaderni della rivista TREELLLE (n. 5/2006), si legge: “L’impressione è che l’esistenza di dirigenti scolastici molto autonomi e molto preparati, o dotati di maggiori poteri (soprattutto in materia di gestione del personale), in fondo dia assai fastidio  all’amministrazione centrale: una crescita dell’autonomia responsabile delle scuole ne ridurrebbe infatti inesorabilmente il ruolo e i poteri”. Forse l’impressione è sbagliata, ma il dubbio sorge.

 

Ciò nonostante, dobbiamo anche riconoscere il valore di ciò che è stato attuato.

Norberto Bottani, un ricercatore svizzero di gran vaglia, a questo riguardo, si esprime nel modo seguente: “Non esistono ricette universali. Si sa solo, nel senso che si hanno prove documentate, che se le scuole diventano autonome e responsabili i risultati scolastici degli studenti sono migliori, ma si sa anche che la gestione e l’organizzazione di un sistema scolastico che accetta l’autonomia dei singoli istituti e che la promuove non sono per nulla facili. In altri termini l’autonomia delle scuole è una grande idea, un principio ambizioso, ma non si può improvvisare, va preparata”.

Occorre quindi, secondo Bottani, un’autonomia scolastica ben organizzata, affinché questa possa dare i migliori frutti. Le ricerche come PISA OCSE, infatti, mostrano che, dove le scuole hanno conquistato una maggiore autonomia, i risultati sono migliori, ma quest’ultima è mediamente tutt’altro che sviluppata. Attilio Oliva scriveva qualche anno fa: “(…) se la scuola non ha soldi da gestire, non ha margine sui curricoli, non può scegliersi i docenti, questa autonomia è un flatus vocis, e se è un flatus vocis è inutile parlarne (…)”. Dunque, questo è lo stato dell’arte: alcune punte avanzate di scuole autonome (grazie allo slancio innovatore dei presidi) in una cornice di autonomia dimidiata, nella quale i poteri delle scuole sul loro destino sono ridotti. In conclusione, l’autonomia andrebbe potenziata, non certo abolita.

 

Tuttavia, se è pur vero che la storia dell’autonomia scolastica è stata tortuosa e difficile, non priva di stop and go, ciò nonostante un percorso è stato compiuto e i risultati raggiunti dalla scuola italiana sono dovuti ad essa e in particolare (ma non unicamente) ai presidi che l’hanno guidata. Certamente i soli che possano parlare di organizzazione scolastica sono proprio questi ultimi. Mi chiedo, dunque, che senso abbia tenerli fuori dai tavoli regionali.

Se il Presidente Giani voleva un interlocutore, avrebbe fatto meglio a cercarlo presso le scuole, anziché deprecare l’autonomia di queste ultime. Sarebbe stato opportuno dialogare con associazioni come quella che rappresento, per avere un’idea più attendibile di come si organizzano le scuole. Anche perché la burocrazia degli Uffici territoriali si occupa, per ruolo professionale, di organici, graduatorie e altro, ma non certo di organizzazione scolastica.

 

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