Di Alessandro Artini - Presidente ANP Toscana
Le cronache raccontano che l’occupazione al liceo artistico Alberti-Dante si è conclusa. Già, ma come? Si racconta di danni alle suppellettili, di porte e mobiletti divelti, di scritte sui muri e bagni sporchi. Si è trattato di fatti eccezionali? Non crediamo. Se gli studenti non acconsentono ad attuare la cosiddetta autogestione, coinvolgendo in una qualche misura la dirigenza e i docenti, le occupazioni hanno quasi sempre quegli esiti. Talvolta accade che si registrino non solamente danni alle cose, ma anche alle persone. I giovani occupanti, infatti, spesso minorenni, non sempre hanno un atteggiamento responsabile e la cosa del resto non sorprende, perché sono adolescenti.
Come ha reagito la scuola? La preside Urciuoli ha attivato la didattica a distanza, la cosiddetta Dad, considerandola una misura adeguata alla situazione. Così si è beccata, con una sola mossa, due critiche: quella dei contestatori, che hanno visto decadere una delle ragioni dell’occupazione e cioè impedire le lezioni e quella dei sindacati, che hanno dovuto subire il ripristino della aborrita Dad. Questi ultimi, sempre secondo le cronache, hanno anche affermato che la Dad rappresentava un modo per “sabotare” le ragioni condivisibili della protesta.
Soffermiamoci sugli eventi. In primo luogo è doveroso constatare come le occupazioni siano gestite da manipoli di studenti, che generalmente non godono dell’appoggio della maggioranza. Il fatto di “chiudere” di forza la scuola ha comunque l’effetto di sopire gli animi, anche di chi non condivide i metodi della protesta, perché raramente si rifiuta qualche giorno di “vacanza”. Tuttavia, molte cose stanno cambiando dopo il lockdown e quelle che, fino a non molto tempo fa, erano le “maggioranze silenziose” di studenti stanno, adesso, acquisendo voce e si dissociano dalle occupazioni. Ma l’aspetto più sorprendente è che alcune buone ragioni esibite dai giovani siano poi contraddette dalle forme di lotta adottate. Ci si lamenta degli ambienti scolastici inadeguati ma, dopo le occupazioni, si constata come gli stessi siano ancora più malridotti e talvolta devastati… I danni spesso ammontano a decine di migliaia di Euro, perché le apparecchiature scolastiche, per esempio quelle dei laboratori, sono costose e al contempo fragili. Ci si lamenta perché la scuola non risponde agli interessi dei giovani, ma che senso ha “chiuderla” con l’occupazione? La strada dell’insensatezza è lastricata di buone ragioni…
Ma l’aspetto che più interessa è la posizione sindacale. È vero che la Dad è stata soppressa, ma la risposta della preside con il suo ripristino, peraltro del tutto contingente, a tutela del diritto allo studio, non pare inopportuna. Ciò che più colpisce, tuttavia, è l’accusa di sabotaggio alle ragioni degli studenti, come se esse potessero essere espresse nel disprezzo delle più elementari regole democratiche. Si ha l’impressione che le occupazioni siano considerate forme di lotta propedeutiche alla crescita individuale; che rappresentino una sorta di rito di passaggio. Parrebbe che il “sabotaggio” di cui parlano, quello operato dalla preside che tramite la Dad ha ripristinato le lezioni, sia un fatto diseducativo, come se la violazione della legge fosse di per sé un valore. Fra l’altro, sfugge il fatto che le occupazioni sono ormai una prassi consolidata, che ha acquisito purtroppo una connotazione di routine. Luca Ricolfi potrebbe scrivere un saggio sul paradosso delle ribellioni che mutano la propria natura, trasformandosi in conformismo.
Nelle scuole, dovremmo parlare delle straordinarie proteste dei giovani in Iran, particolarmente delle donne, che si trovano a fronteggiare autorità dittatoriali crudeli, rischiando la vita. Da noi, l’atteggiamento di chi si ribella, se volesse mantenere una carica dirompente, dovrebbe essere quello di lottare per far funzionare la scuola, richiamando dirigenti e docenti a un impegno che purtroppo non sempre è generale. Chi si ribella dovrebbe far valere il proprio diritto a studiare nei modi più dignitosi e confacenti a un’istituzione pubblica come la scuola. Chi si ribella dovrebbe richiedere agli insegnanti il massimo impegno, facendo sì che essi rinnovino i loro metodi d’insegnamento, adottando didattiche vivaci e coinvolgenti; dovrebbe pretendere che i “prof” inadeguati si aggiornino e si formino, per rimediare alla loro scarsa professionalità. I ribelli sono quelli che studiano e nutrono l’aspettativa che la scuola funzioni da “ascensore sociale”, capace di premiare i “meritevoli” indipendentemente dalle origini sociali. Sono quelli che comprendono come la mancanza di selezione dei docenti (attualmente la più parte ha acquisito il ruolo tramite leggi di “sanatoria”), l’alto livello di burocrazia e l’eccessiva produzione di norme e circolari, spesso ambigue, sono tutti fattori che contribuiscono a far sì che le scuole non funzionino.
Ovviamente la vicenda del liceo “Alberti_Dante” ha avuto luogo nel silenzio delle istituzioni amministrative della scuola, le quali, a livello regionale, paiono affette da un pernicioso mutismo. Per quanto ci riguarda, avvertiamo l’esigenza di esprimere solidarietà alla preside Urciuoli.
(21 dicembre 2022)